Intervista ad Adriano Boz – vice presidente ZooBioDi

Qualche domanda ad Adriano Boz

Referente Provinciale CFP Classici di Varese

Adriano Boz

Negli ultimi giorni, sui mezzi di comunicazione tradizionali e non (giornali, tv e web), vengono divulgati con insistenza avvenimenti di violenza presso strutture educative e di cura da parte di giovani ragazzi verso professori, così come da parte di educatori o assistenti sanitari nei confronti di bambini e anziani.

Prendendo spunto da questo argomento abbiamo fatto alcune domande al nostro Referente Provinciale Adriano Boz, per delineare, attraverso la sua opinione, quali possano essere cause ed eventuali rimedi.

Adriano, ritieni che nel tempo questi casi di violenza presso case di cura e istituti scolastici e educativi siano aumentate?

Uno dei principi delle norme volontarie sulla qualità prevedono che le decisioni vengano prese su dati di fatto. I dati di fatto ci portano a ritenere che siamo storicamente all’interno di un lentissimo percorso evolutivo culturale che porterà ad una umanità sempre più complessa e capace di ridurre la violenza, basti pensare che nell’Ordinamento Giuridico Italiano sino al 1956 era in vigore la possibilità da parte del padre di famiglia di usare la violenza per educare e culturalmente questa idea che si possa educare alla non violenza con la violenza sia ancora fortemente radicato nel nostro modo di pensare. Potrebbe perciò essere utile distinguere tra la casistica di professori minacciati, maestre violente, anziani maltrattati e la comunicazione di questi atti di violenza. Gran parte della violenza avveniva, in un passato anche recente, nel silenzio omertoso delle quattro mura e difficilmente divulgata. Il livello di cultura attuale ci sta aiutando a far emergere e denunciare e sempre di più prevenire gli atti di violenza cercando di intervenire sugli elementi che li generano, primo fra tutti la povertà materiale e culturale. Ecco perché farei attenzione a non considerare i fatti sporadici come elemento che descriva la nostra società nel suo complesso e le miriadi di situazioni di benessere e confort che si respirano sia negli ambiti scolastici che nella gestione dei meno fortunati o degli anziani.

 

Questo maggiore riguardo a casi singoli credi sia dovuto alla necessità di indirizzare l’attenzione pubblica su ambienti di convivenza che altrimenti sarebbero ignorati, e di conseguenza poterne stimolare l’intervento migliorativo da parte di chi deve vigilare su essi?

Non sempre la divulgazione dei fatti di violenza viene indirizzata a cercare soluzioni intelligenti. Trovo che talvolta vengano invece ad arte utilizzati gli atti di violenza per stimolare emozioni forti di rivalsa, giustizialiste, volte a promuovere paura per ottenere il risultato di consensi verso scelte di limitazione della libertà individuale se non addirittura di ridurre la socializzazione tra le persone. Solo talvolta troviamo una sana valutazione dei fatti con un’ampia panoramica sugli aspetti sistemici che portano alla costruzione di relazioni di doppio legame tra vittima e carnefice. Il più delle volte si indaga nella vita privata delle persone con fare morboso per andare a rasserenarci che quanto accaduto in quella situazione a noi non potrà mai capitare. Negli ultimi 50 anni molti studi sulla complessità ci stanno aiutando a far diventare cultura la visione di come un contesto di vita, che non conosca a fondo i bisogni relazionali del bambino nelle varie fasi evolutive e pertanto non riesca a soddisfarli sufficientemente con amore, predisponga a costruire modalità di socializzazione perverse, cioè irrispettose delle esigenze naturali dell’uomo, che sviluppano relazioni nelle quali le pulsioni vengono agite o fatte agire invece che sublimate. Le conoscenze oggi ci sono per vivere in modo armonico in società a violenza zero: quanto ci vorrà perché diventino modelli culturali? Se riusciremo a sconfiggere la povertà ed impedire le violenze di popoli come le guerre potremo arrivare a creare quel clima dove i bambini impareranno sin dai primi vagiti a riconoscere le proprie emozioni ad adulti attenti a comprenderle attivando una comunicazione efficace e coerente.

 

Bisogna ammettere però che non si può fare a meno di sentirsi impotenti e tristi di fronte a questi episodi di prepotenza….

Non li considero solo una triste realtà, li considero anche un insegnamento per un cammino evolutivo che ci elevi dalla natura (violenta e prevaricatrice nonché insensibile al dolore definita da U. Galimberti come una crudele innocente) che gestisce l’equilibrio attraverso la competizione del grande mangia il piccolo, verso una cultura che cerca di raggiungere un equilibrio senza dolore, con dignità e senza inutili sofferenze. La natura preserva la dignità portando rapidamente a morte chi non ce la fa, chi è più debole. La cultura tende a fare rete e a trovare una soluzione nuova. La natura è violenta. La cultura quando non ne tiene conto imparando a sublimare tanto le pulsioni aggressive quanto quelle libidiche, si ferma a delle risposte naturali quali la furia distruttiva o l’innamoramento cieco.

 

Da queste affermazioni potrei dedurre che solo la cultura potrebbe aiutare la natura umana a trovare un equilibrio …

Cara Sabrina farei attenzione a non considerare natura umana come qualcosa di diverso, la nostra natura di mammifero non è diversa da quella di tutti gli esseri viventi e non possiamo censurare o rimuovere che il nostro corpo è limitato nelle sue espressioni dalla natura stessa. Se tralasciamo in questa intervista tutto ciò che ci trascende e ci soffermiamo ai bisogni del nostro corpo, possiamo dire che l’equilibrio è dato dalla capacità degli adulti di rispondere ai bisogni di chi non è in grado di farlo. La nostra natura è guidata inizialmente dall’istinto, poi emergono le pulsioni correlate alle sensazioni che si organizzano in percezioni, poi emozioni e più su fino al linguaggio e al pensiero. Un ambiente capace di rispondere in modo sufficientemente adeguato al soddisfacimento dei bisogni di ogni bambino lo aiuterà a lasciar crescere il proprio corpo in un equilibrio di pulsioni che potranno esprimersi tra libido e aggressività sfociando nella sublimazione dell’amore senza bisogno di cadere negli eccessi della perdita delle proprie capacità come negli attaccamenti morbosi legati da innamoramenti o rabbie cieche e prevaricatrici.

 

In base alla tua esperienza nel seguire il progetto dell’Associazione Coemm, pensi che lo stesso possa un giorno essere d’aiuto a trovare equilibrio fra forti e deboli, dolore e dignità?

Grazie cara Sabrina per questa domanda che mi permette di esprimere la gioia del aver incontrato il progetto dell’Associazione COEMM. La mia vita è stata costellata dal tentativo di essere migliore e di fare del bene però con un sottile pensiero di fondo che tanto sarebbe stato tutto vano per l’assenza della possibilità di fare una svolta culturale. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato nei criteri di valutazione del valore però non sono mai stato in grado di trovare una soluzione. Finalmente dopo tanti studi e tanti cari maestri arriva un ometto che disegna un cerchio grande in un foglio bianco con dentro un 99% e poi un cerchietto piccolo accostato sulla destra che gira veloce grazie alla spinta del cerchio grosso e con dentro 1%. E cita Kuhn ed il salto di paradigma. Le lacrime agli occhi mi sono venute. Ho detto c…zo ci siamo. Ora sono quasi passati due anni da quel filmato passatomi dalla cara Sandra. Ogni volta che ci penso mi vengono le lacrime. Siamo piccoli, limitati però quello che ci trascende è immenso e vi possiamo accedere se smettiamo di chiudere ed apriamo la mente, rispettando i limiti della natura e glorificando l’immensità del pensiero. Grazie COEMM per questo regalo. Non esiste un altro momento storico del passato o un’altra nazione dove vorrei essere nato. Sono state gettate le basi per fare sì che la povertà del mondo diventi un ricordo e poi un racconto e per i nostri nipoti una leggenda ed infine essere annoverata un giorno tra i miti.

Grazie Adriano.